L’art. 317 bis c.c. al primo comma statuisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza morale da ciascuno da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Laddove ve ne sia la necessità, i nonni, che si vedono privati dei rapporti con i nipoti, dovranno rivolgersi al Tribunale per i minorenni del luogo in cui risiedono questi ultimi. È previsto l’ascolto del bambino che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento. Se il ricorso è presentato contro uno dei genitori del bambino, è previsto la comparizione dinanzi al tribunale del genitore.
I nonni potranno chiedere che siano regolate le loro frequentazioni e i rapporti di visita con i nipoti e, nei casi di forte litigiosità, chiedere che vengano assunti provvedimenti incisivi e limitativi nei confronti dei genitori. Il tutto tenendo conto dell’esclusivo interesse del/i bambino/i (e sperando non abbiano già subito condizionamenti da parte di uno dei genitori).
L’art. 317 bis c.c. non garantisce però un diritto incondizionato ai nonni di mantenere rapporti significativi con i nipoti, ma subordina l’esercizio di tale diritto alla valutazione del giudice (che ha il compito di stabilire se i rapporti fra i parenti possono essere composti in modo da tutelare l’interesse superiore del minore).
La Cassazione civile, sezione I, con la sua ordinanza n. 2881 del 31.01.2023 ha statuito che il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti non può essere garantito attraverso la costrizione del bambino contro la volontà di quest’ultimo.
Nessuna frequentazione può essere disposta contro la volontà manifesta di un minore che abbia compiuto i dodici anni o, se di età inferiore, che comunque risulti capace di discernimento.
Il mantenimento di rapporti significativi non può essere garantito costringendo il bambino a una relazione sgradita e non voluta.L’accertamento delle questioni riguardanti i rapporti significativi tra nonni e nipoti deve essere basato sul principio di carattere generale riguardante l’interesse superiore del minore e sulla volontà del bambino.
Nonni e zii, per quanto possibile, devono appianare i contrasti e le tensioni con i genitori del minore se vogliono esercitare il loro diritto incondizionato a frequentare i nipoti.
Orbene, non sono i minori a doversi sacrificare a favore degli ascendenti, in nome di un (solo) ipotetico pregiudizio che potrebbe derivare dall’assenza di queste figure nella loro crescita (partendo da questi presupposti la Cassazione, ha accolto in un giudizio il ricorso di una coppia di genitori, volto ad evitare gli incontri non graditi dai loro figli minori con i nonni e uno zio paterno, in seguito ad attriti che avevano addirittura portato un giudice a prescrivere alla nonna paterna l’assistenza di uno psichiatra a causa dell’elevata conflittualità; fattispecie il provvedimento venne poi revocato). Per la Suprema Corte, è necessario tenere presente il principio dell’interesse superiore del minore, parametro imprescindibile che prevale sia sull’interesse dei genitori che di altri familiari.
Il giudice deve stabilire come questi fattori possono essere equilibrati in modo da garantire un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore.
Nella fattispecie la Corte di merito ometteva l’analisi della capacità di discernimento dei bambini coinvolti con la conseguenza di non apprezzare il superiore interesse specifico e concreto di ciascuno dei minori in un contesto di conflittualità nello specifico fra i genitori e la famiglia del ramo paterno (la Suprema Corte ha infatti cassato il provvedimento impugnato, rinviando alla Corte di merito per un nuovo esame del caso secondo i principi ut supra accennati).
Oltre ad essere stato più volte chiarito (cfr. Corte costituzionale n. 79/2022), ciò viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento (Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini del 3 dicembre 1986, Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, del 16 dicembre 1966 , Convenzione di Strasburgo in materia di adozione elaborata dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore il 26 aprile 1968), oltre che da fonti europee (l’art 24 comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE “CDFUE”, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e gli artt. 8 e 14 CEDU).
In primo luogo, con particolare riferimento alla posizione dei nonni, l’art. 8 CEDU, pur avendo lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze: a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad una salvaguardia effettiva della vita privata o familiare (che possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro).
Tra questi, possiamo trovare la predisposizione di un cd. “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente a garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie e delle misure specifiche appropriate, capace di permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore ed il figlio, non solo in caso di conflitto tra i due genitori, ma anche quando la questione investa le relazioni tra il minore e i nonni. In tali situazioni, infatti, lo Stato dovrà attivarsi al fine di favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, ma tenendo pur sempre in considerazione gli interessi superiori del minore e i suoi diritti come scaturenti dall’art. 8 della Convenzione (cfr. CEDU, 9 Febbraio 1917, Solarino c. Italia e EDU, 7 dicembre 2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
Fondamentale, però, al fine di risolvere le questioni riguardanti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, è l’interesse del minore: principio di carattere generale che trova la sua ragion d’essere nelle disposizioni di cui agli artt. 2, 30, 31 Cost. (così Corte cost., sentenza 23 febbraio 2022, n. 79).
Sebbene ciascun minore vanti un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni, che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine, il carattere “significativo” del rapporto a cui fa riferimento la norma di cui all’ ‘art. 317 bis c.c., deve derivare da una relazione positiva, gratificante e soddisfacente del bambino con l’ascendente tale da implicare una spontaneità di relazione e non una coercizione. Di conseguenza, il mantenimento di rapporti significativi non solo non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso un’imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, ma nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336 bis c.c.
Pertanto, laddove queste relazioni non funzionino secondo linee armoniche e spontanee, tali da non risultare fruttuose per tutti gli attori in campo, occorrerà l’intervento giudiziale al fine di stabilire, rivolgendo l’attenzione al superiore interesse del minore, al fine che i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra genitori e ascendenti si possano comporre e come ciò debba avvenire.
Nel caso di specie, la Corte di Appello, limitandosi a rilevare l’assenza di un pregiudizio per i minori derivante dal “passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, ha, da un lato, trascurato totalmente di indagare quale fosse il superiore interesse, specifico e concreto, di ciascuno dei bambini nella situazione di conflittualità venutasi a creare fra genitori e la famiglia paterna, al fine poi di stabilire se le divergenti posizioni potessero essere oggetto di un proficuo bilanciamento in funzione di tale interesse e quali fossero i provvedimenti allo scopo più idonei e dall’altro, di spiegare quale fosse, nella realtà della situazione familiare posta alla sua attenzione, il preciso tornaconto dei minori a veder partecipare ciascuno degli ascendenti nel progetto educativo e formativo che li riguardava. Secondo la Cassazione, in conclusione, occorreva verificare la capacità di discernimento dei bambini coinvolti, al fine di disporne l’ascolto in presenza delle condizioni di cui all’ art. 336 bis c.c., e, comunque, tenere conto della riottosità di uno degli stessi a questo coinvolgimento così da evitare l’imposizione di rapporti non voluti.
Per la Cassazione “non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un reale pregiudizio, ma è l’ascendente (il diritto del quale ex art. 317 bis c.c. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere) a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente.
In tali ipotesi, per il medesimo collegio, gli strumenti da predisporre, per la tutela del diritto degli ascendenti consiste nell’individuazione di strumenti appropriati di modulazione delle relazioni che sappiano creare la spontaneità nella relazione coi minori, piuttosto che imporre rapporti non desiderati, oltreché risulta necessario verificare la capacità di discernimento dei bambini coinvolti, per disporne l’ascolto in presenza delle condizioni contemplate dall’art. 336 c.c.
Per la Suprema Corte “come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale».
Compito del giudice è di stabilire, sempre nel superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici, o addirittura conflittuali, fra i parenti adulti «si possano comporre e come ciò debba avvenire.
La pronuncia in esame si presenta altresì interessante nella parte in cui gli Ermellini ricordano come i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti a instaurare e a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, sulla base di quanto disposto dall’ art. 317 bis c.c., come novellato dall’art. 42 del d.lgs. n. 154/2013 – al pari di quelli ablativi della responsabilità genitoriale emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., – hanno attitudine a sancire rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, e nella misura in cui definiscono procedimenti aventi ad oggetto conflitti tra posizioni soggettive diverse e nei quali il minore è “parte”. Pertanto, il decreto della Corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti è impugnabile con ricorso per Cassazione ex comma 7 art. 111 Cost. (sul punto Cass. civ., sez. I, ordinanza 12 novembre 2018, n. 29001).
Trieste, 15 marzo 2023.
Avv. Emanuela Sofia