Il diritto di abitazione, un diritto reale poco conosciuto

Il diritto di abitazione nella famiglia

Il diritto di ABITAZIONE è regolato dall’articolo 1022 c. c. (libro III della proprietà) che sancisce: “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”.

            Si tratta quindi, di un diritto reale di godimento su cosa altrui. E’ personale (il titolare è comunemente chiamato habitator in latino) ed è riconosciuto a vantaggio delle sole persone fisiche (non a quelle con personalità giuridica).

            Nell’articolo successivo, 1023 c. c. è specificato che cosa debba intendersi per “famiglia”: “Nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è incominciato il diritto di uso o di abitazione, quantunque nel periodo in cui è sorto la persona non avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i figli adottivi ei figli riconosciuti … si comprendono infine le persone che convivono col titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i propri servizi.

            Dunque una nozione di famiglia abbastanza vasta. Nozione che è stata ulteriormente ampliata dalla c. d. legge Cirinnà – legge 76 del 2016 che prevede che il diritto di abitazione spetti al convivente more uxorio, seppur per un periodo limitato di tempo.

            E’ intuitivo che l’immobile oggetto del diritto debba essere idoneo a costituire un alloggio, abbia cioè i requisiti dell’abitabilità.

            Il diritto di abitazione si costituisce per testamento, per contratto (necessario l’atto pubblico), usucapione, per legge (articolo 540 c. c. –  ci torneremo nella seconda parte) a favore del coniuge superstite e, in caso di separazione o divorzio, per sentenza del Giudice (il diritto sorge in capo al coniuge che ha l’affidamento dei figli).

            Due caratteristiche particolarmente rilevanti del diritto di abitazione sono:

  1. è impignorabile;
  2. si applicano, in quanto compatibili, le norme relative all’usufrutto (per esempio per calcolarne il valore)

Ma veniamo al diritto di famiglia. In caso di separazione o divorzio, il Giudice assegna l’abitazione al genitore collocatario dei figli minori, maggiorenni non autosufficienti

Quando il giudice emette il provvedimento con il quale nomina il cosiddetto “genitore collocatario”, quello presso il quale la prole avrà la residenza, gli riconosce anche il diritto di abitazione sulla casa coniugale, anche se di proprietà dell’altro coniuge.

La finalità è quella di garantire i figli in modo da non aggiungere al trauma della separazione un ulteriore problema conseguente al cambio di residenza.

            L’assegnazione della casa non ha finalità economiche e – o di mantenimento e prescinde, quindi dal reddito: spetta anche al coniuge collocatario con una propria disponibilità di mantenimento.

            Nel caso in cui non ci siano figli o gli stessi siano maggiorenni ed autonomi, la casa spetta al proprietario. Se in condivisione valgono le normali regole della comunione.

            Il diritto di abitazione conseguente a separazione o allo scioglimento del matrimonio e, nel caso di matrimonio religioso, della cessazione degli effetti civili del matrimonio (c. d. divorzio) è opponibile ai terzi e, come tale, può essere iscritto all’Ufficio Tavolare.

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