Cassazione civile: la ex moglie deve dimostrare le occasioni lavorative perdute per avere diritto all’assegno di divorzio

IMPORTANTE DECISIONE IN TEMA DI ASSEGNO DIVORZILE SULL’ONERE DELLA PROVA

La Corte di Cassazione civile, Sez. I, con la recentissima ordinanza n. 17144/2023 pubblicata il 15 giugno 2023 ha confermato il principio secondo il quale la ex moglie non ha diritto all’assegno divorzile se in giudizio non dimostra a quali occasioni professionali ha rinunciato per dedicarsi alla famiglia.

La Suprema Corte ha così riformulato l’interpretazione della “funzione assistenziale” dell’assegno, introducendo un elemento rivoluzionario: l’obbligo di dimostrare che la scelta di non lavorare è stata condivisa col coniuge, ma soprattutto, che ha comportato una effettiva rinuncia a concrete occasioni professionali, con la conseguenza che la donna deve dimostrare le occasioni di lavoro perse per badare al ménage domestico.

Nel caso giudiziario di specie la situazione reddituale e patrimoniale tra le parti non era contestata: il patrimonio immobiliare era pressoché omogeneo tra i due e il marito percepiva un reddito netto di € 5.700 mentre l’ex-moglie una somma media mensile netta di € 4.392 circa, redditi che non erano sostanzialmente variati dalla separazione.

L’assegno divorzile alla moglie era stato attribuito in ragione del divario reddituale e della durata ultraventennale del matrimonio ed in assenza di prova che la coniuge avesse rinunciato ad occasioni di carriera o di crescita lavorativa durante il periodo del matrimonio.

Era stato dimostrata la circostanza che la madre della ex moglie avesse a suo tempo aiutato la figlia nella gestione della casa e della prole e che l’ex marito avesse potuto fruire di maggiori opportunità di progressione di carriera e d’incremento del livello stipendiale.

Il marito, lamentando l’erronea determinazione dell’assegno divorzile posto a suo carico, proponeva ricorso e la Corte d’Appello di Bologna investita della questione, rigettava il gravame.

Il soccombente ricorreva dunque in Cassazione, lamentando la denuncia e falsa applicazione dell’art. 5, co. 10, L. n. 898/70, per aver la Corte d’Appello deciso in difformità dei principi formulati dalla Suprema Corte nella sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 sulla determinazione dell’assegno divorzile, confermando il profilo compensativo dell’assegno, pur in mancanza di prove sulle aspettative professionali cui la moglie avrebbe rinunciato per favorire la carriera del marito.

La Sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 aveva ribadito che all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che, derivante dal principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente (non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì) il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

L’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli né sulla mera esistenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione de parametri di cui all’art. 5, co. 6, L. n. 898/1970 – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, del richiedente l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente.

Il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge ex post divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno adeguato a compensare (funzione perequativo-compensativa appunto) il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche e concrete occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio.

Nella fattispecie di cui alla pronuncia, la Cassazione osserva che la Corte d’Appello ha riconosciuto all’ex-moglie il diritto all’assegno, valorizzando il profilo perequativo-compensativo del beneficio, sulla base del divario reddituale tra le parti, della durata del matrimonio (24 anni) e della circostanza che la madre dell’appellata avesse aiutato la figlia nella gestione della casa e della prole, pur rilevando che la beneficiaria dell’assegno divorzile non avesse dimostrato di aver rinunciato ad occasioni di carriera o crescita lavorativa durante il periodo matrimoniale e traendo la conclusione che l’ex-marito avesse potuto fruire di maggiori opportunità di progressione in carriera e d’incremento del livello stipendiale.

Per gli ermellini, la Corte d’Appello ha omesso anche di valutare se il matrimonio sia stato o meno causa di uno spostamento patrimoniale a favore del ricorrente, ex post divenuto ingiustificato, da correggere attraverso l’attribuzione di un assegno in funzione appunto compensativo-perequativa.

E’ stato ritenuto pertanto che i Giudici di merito non abbiano correttamente applicato i principi affermati dalla Suprema Corte nella parte in cui hanno ritenuto che alla ex moglie spettasse l’assegno divorzile, sebbene quest’ultima, già titolare di un proprio dignitoso reddito mensile netto nel periodo considerato, non avesse dimostrato di aver rinunciato a migliori occasioni di lavoro o progressioni in carriera a causa della propria dedizione alla vita coniugale e alla famiglia, in mancanza di una scelta condivisa a riguardo.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla stessa Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

In conclusione, questa nuova interpretazione di legittimità mette a rischio l’assegno per molte donne poiché non basta più aver fatto la casalinga o lavorato part-time per dedicarsi alla famiglia: ora, le ex mogli devono fornire prove delle opportunità professionali concrete sacrificate.

Trieste, 14 luglio 2023

Avv. Emanuela Sofia

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