Cassazione: perdita di mantenimento se spese voluttuarie e rifiuto di lavorare

La Cassazione con ordinanza n. 1482 del 18.01.2023, ritenendo inammissibili i motivi di ricorso proposti ha revocato l’assegno divorzile all’ex che fa spese voluttuarie, ribadendo il principio che all’assegno di divorzio debba attribuirsi funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa.

Nel caso giudiziario di specie una signora, già separata consensualmente, appellava avanti alla Corte di Appello di Roma la sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Velletri che le aveva attribuito, a carico dell’ex marito, un assegno divorzile di € 100 mensili e l’ulteriore somma di € 450 mensili a titolo di contributo al mantenimento del figlio ormai maggiorenne, ma non ancora economicamente indipendente. La signora appellava la sentenza di divorzio poiché con la stessa si vedeva decurtati gli importi dovuti rispetto a quelli concordati in sede di separazione.
Nel procedimento di appello il marito proponeva ricorso incidentale chiedendo che fosse revocato l’assegno divorzile e quello per il contributo al mantenimento del figlio.

La Corte di Appello di Roma (Corte d’Appello di Roma, Sez. minori, sentenza n. 1798 del 17.03.2020) rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale, revocando l’obbligo dell’ex marito al versamento dell’assegno divorzile e a quello di contributo al mantenimento del figlio per le seguenti motivazioni:
a) il figlio, diplomatosi all’istituto tecnico industriale, aveva abbandonato l’occupazione offertagli dal padre nella propria officina preferendo invece andare a lavorare saltuariamente con il compagno della madre nel campo dell’edilizia;
b) la ex moglie disponeva di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese sostenute, anche voluttuarie – cioè non destinate a soddisfare bisogni primari, se non addirittura c.d. futili – nonché dalla capacità lavorativa dimostrata dal fatto che ella aveva letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad una intensa e costante attività di body building.
Avverso tale sentenza della Corte di Appello la signora ha proposto ricorso per Cassazione denunciando la violazione della l. 898 del 70, art. 5 comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il giudizio di una sua indipendenza economica sia frutto di una errata lettura delle risultanze del conto corrente e che il Tribunale non aveva tenuto conto del contributo dato dalla stessa alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale, al pagamento del mutuo, delle spese sostenute per il contratto di locazione, delle condizioni di salute in cui la stessa versava e della situazione reddituale dell’ex marito.
Tale motivo dalla Suprema Corte è stato ritenuto inammissibile.

La Cassazione con l’ordinanza de qua ha confermato l’interpretazione della norma sull’assegno di divorzio sancita dalla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 18287 del 2018 , che riconosce una natura composita all’assegno e precisa i criteri e le modalità in forza dei quali il giudice deve accertare il diritto all’assegno e decidere il suo ammontare.
In ossequio alla funzione assistenziale ed in pari compensativa-perequativa dell’assegno di divorzio, il suo riconoscimento richiede la valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, della considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e della formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto (Cass. Sez. Unite, n. 18287 del 11.07.2018).

La Cassazione precisa che “la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (cfr. Cass. Sez. Un. n. 18287 del 11.07.2018 e n. 5603 del 28.02.2020).
Per soddisfare il parametro composito assistenziale e perequativo compensativo sancito dalla Suprema Corte occorre verificare se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell’esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità.

Solo ove tale disparità sia accertata è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.

Nel caso di specie la richiesta da parte della ricorrente dell’attribuzione dell’assegno divorzile è stata rigettata perché è stato accertato che “le sue entrate erano pari ad una media annua di circa € 21.500 complessivi, ben superiore ai corrispondenti importi degli assegni versatile dal coniuge, ma anche perché al tempo della separazione ella aveva l’ancora giovane età di soli trentasette anni e avendo letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad intensa e costante attività di body building è fuor di dubbio che ella aveva ed ha la capacità di dedicarsi ad attività lavorativa”.

La Cassazione dunque ha ritenuto che la ricorrente al momento della dissoluzione del matrimonio aveva la capacità di dedicarsi all’attività lavorativa – viste le risultanze del suo conto corrente e dalle spese sostenute anche voluttuarie – e disponeva di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell’abitazione presa in locazione.

Come accennato, le spese voluttuarie costituiscono gli esborsi di denaro finalizzati a soddisfare esigenze secondarie che vanno ben oltre i bisogni primari.

Il soddisfacimento dei bisogni primari quali cibo, abitazione, vestiario rientra tra le spese necessarie al sostentamento, diversamente altre spese come lo shopping compulsivo o la spesa per retta mensile costante per l’abbonamento in palestra, sono indizi di una certa capacità reddituale.

Trieste, 17 aprile 2023.

Avv. Emanuela Sofia

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