Cassazione: Sì assegno divorzile al marito che ha aiutato la moglie a fare carriera

La Cassazione Civile, Sezione prima, con ordinanza n. 10016 del 14 aprile 2023, ritenendo inammissibile il ricorso della ex moglie, ha confermato l’assegno di divorzio attribuito all’ex marito che ha aiutato la moglie a completare gli studi laureandosi e a fare carriera, trovandosi poi in condizione di inferiorità economica.

Operata la necessaria valutazione comparativa tra le condizioni delle parti e considerata la funzione compensativa e perequativa dell’assegno, la durata del matrimonio e lo squilibrio significativo esistente fra le due posizioni reddituali -risultante dalle dichiarazioni dei redditi – è stato ritenuto legittimo riconoscere un assegno al marito, rilevato che il contributo economico dato dallo stesso alla conduzione e realizzazione della vita familiare ha consentito alla moglie di proseguire gli studi universitari ed a migliorare la sua formazione, favorendone l’inserimento della stessa nel mondo del lavoro.

Nella fattispecie l’uomo si vedeva confermato dalla Corte d’appello l’assegno divorzile di € 200 mensili a carico dell’ex moglie, per il significativo contributo dato nei primi anni di matrimonio ai fini del soddisfacimento delle esigenze familiari.

Rilevava la Corte d’Appello che la moglie non aveva completato il percorso di studi e non disponeva di risorse economiche per il proprio mantenimento e di quelle della figlia ma che decisivo fosse stato il contributo economico del marito, necessario per proseguire gli studi ed avviare l’attività professionale che aveva comportato diversi esborsi. Alla fine dunque, il miglioramento economico della donna era assolutamente dipeso dall’aiuto da parte del marito.

La Corte d’Appello ha riconosciuto “l’apporto fornito dalla ricorrente al menage familiare attribuendo espressamente all’assegno divorzile funzione compensativa“.

Dalla ricorrente viene lamentato che l’ex marito non avesse affatto rinunciato ad una propria fulgida carriera lavorativa in nome dell’aiuto prestato all’ex moglie, ma avesse solo anteposto alla propria carriera lavorativa la famiglia, assolvendo così ad un proprio obbligo giuridico e morale, assunto verso il coniuge più giovane che all’epoca non aveva ancora completato il suo ciclo di studi.

La Corte d’Appello, dopo aver individuato nel marito la parte più debole economicamente lungi dal limitarsi all’accertamento del mero prerequisito fattuale dell’assegno di divorzio “ha valorizzato il significativo apporto dato dallo stesso alla vita del nucleo familiare composto dalla giovane moglie e da una bambina sia nella fase iniziale del matrimonio che anche successivamente” e che “alla stregua delle considerazioni che precedono e dell’indagine fattuale compiuta dai giudici di merito, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, quale interpretato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 del 2018 che ne ha chiarito il contenuto, con riferimento ai dati normativi già esistenti”.

Per la Suprema Corte il ricorso è ritenuto inammissibile: la valutazione compiuta non solo è insindacabile in sede di legittimità ma è sorretta da una “motivazione ampia ed immune da vizi logici“, focalizzata “puntualmente sulla notevole sperequazione della situazione economico-reddituale dei coniugi, con una valutazione improntata all’attualità ed effettività, tesa ad accertare che lo squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi“.

La decisione della Corte d’Appello – conclude la Suprema Corte – “si è infatti incentrata sull’adeguata valutazione dell’apporto effettivo e del ruolo endofamiliare – del marito – in costanza di matrimonio, nonché, previa comparazione con la situazione dell’ex moglie, sulla riconducibilità alle dinamiche familiari, ed al sacrificio professionale conseguitone, del rilevante squilibrio economico tra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, accertato in fatto allo sciogliersi del vincolo di coniugio“, dunque è dimostrato uno squilibrio reddituale riconducibile alle scelte di vita matrimoniali, tale da giustificare una compensazione o perequazione.

Trieste, 12 maggio 2023.

Avv. Emanuela Sofia

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