CONSUMATORE, CLAUSOLE ABUSIVE,  DECRETO INGIUNTIVO ed ESECUZIONE: LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE n. 9479/2023

            La nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite numero 9479 del 6 aprile 2023, ha stabilito dei principi di diritto sulla base delle decisioni della Corte di Giustizia UE (CGUE), ed (in particolare delle sentenze delle quattro cause riunite pubblicate il 17 maggio 2022) ha stabilito un principio di diritto e creato non poche difformità nella Giurisprudenza di merito.

            Appare opportuno trattare ora solo la decisione della Cass. Sez. Unite e in un successivo articolo le prime decisioni della Giurisprudenza di merito.

            In estrema sintesi: le Sezioni unite, per adeguare l’Ordinamento italiano a quello UE hanno sancito che: 1) il Giudice del procedimento monitorio deve esaminare e motivare se si sia alla presenza di clausole abusive in pregiudizio del consumatore; 2) ove un tanto non sia stato fatto il D.I. non diventa definitivo; 3) le Sezioni Unite “suggeriscono” il procedimento da tenere in caso di opposizione successiva al Decreto, ad esempio in sede esecutiva.

            Ma vediamo i fatti di causa: ad un consumatore veniva notificato un Decreto Ingiuntivo azionato da una Banca in forza di una fidejussione, ma non si opponeva allo stesso. Di seguito la Banca interveniva in un azione di espropriazione immobiliare iniziata da un altro creditore. Successivamente la Banca cedeva il credito ad una finanziaria mentre la procedura proseguiva. Solo dopo la vendita il debitore si opponeva al piano di riparto asserendo l’abusività di una clausola della fidejussione alla base del D.I. Il Giudice, pur riconoscendo la qualità di “consumatore” all’opponente respingeva l’opposizione con sentenza.

            Avverso detta sentenza veniva proposta Ricorso Straordinario alla Cass. ex art. 111 Costituzione. Controparte non svolgeva attività difensiva e lo stesso ricorrente rinunciava al Ricorso in data 6 luglio 2022. Lo stesso giorno il PM depositava conclusioni scritte chiedendo l’estinzione del processo e la contemporanea enunciazione del “principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., reputando ciò necessario “a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE

            Il Ricorso veniva assegnato alle Sezioni Unite civili. che decidevano in data 6 aprile 2023 con sentenza n. 9479.

            Le stesse hanno deciso di pronunciare sentenza enunciando il principio di diritto ex art. 363 cpc nell’interesse della legge, “reputando ciò necessario “a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE“- OMISSIS – “La fattispecie che qui rileva ha riguardo – in estrema sintesi – all’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista che il consumatore non ha opposto, lamentando, però, in sede di procedura esecutiva per il soddisfo del credito ingiunto, l’omesso rilievo officioso del giudice del procedimento monitorio su una clausola abusiva (nella specie, di deroga del foro del consumatore) presente nel contratto fonte di quel credito e, quindi, chiedendo al giudice dell’esecuzione di farsi carico del controllo sull’abusività della clausola contrattuale”.

            Le Sezioni Unite hanno preso le mosse dalla citate quattro sentenze della CGUE. In breve la posizione della CGUE viene così riassunta: “la Corte di Giustizia … ha statuito che gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993: devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole”.

            La ratio appare essere questa: “Una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. In un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione”.

            Come ben riassume il prof. Avv. Giuliano Scarselli in judicium.it : “In sostanza la CGUE ha sostenuto che:

a) se il giudice del monitorio ha controllato il carattere abusivo delle clausole contrattuali e ha dato conto di ciò nella motivazione dello stesso DI, la mancata opposizione del debitore nei 40 giorni prevista dall’ordinamento italiano producono effettivamente la cosa giudicata, e la questione non può più essere sollevata dinanzi al giudice dell’esecuzione.

b) Al contrario, se il giudice del monitorio niente motiva sul punto, allora è incerto che lo stesso abbia o meno adempiuto all’obbligo di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali ed in questi casi la mancata opposizione al DI da parte del debitore non produce la cosa giudicata, anche perché l’assenza della motivazione può pregiudicare la tutela effettiva del consumatore, e la questione in ordine all’abusività delle clausole contrattuali può essere posta successivamente al giudice dell’esecuzione.

1.3. Va poi ricordato, e come è noto, che le decisioni della CGUE sono fonti di diritto eurounitario ed hanno effetto vincolante e diretto nel nostro ordinamento ai sensi degli stessi artt. 11 e 117 Costituzione, così come peraltro precisato dalla nostra Corte costituzionale[3].

Dunque, il compito delle Sezioni unite non era quello di stabilire se il dettato della CGUE fosse logico o condivisibile, ma semplicemente quello di adeguare il nostro ordinamento a quelle regole comunitarie precisate dalla CGUE.

La sentenza a commento ha ben precisato questo aspetto ricordando come esiste “un meccanismo di complementarietà funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto europeo sostanziale”.

            La conseguenza, ovvia, è che la Cassazione non poteva esimersi dall’esprimere il principio di diritto per (cercare) di armonizzare la normativa processuale interna a quella della UE.

            Il fatto è che mentre un parte dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia della UE sono di facile armonizzazione col diritto interno, altri non lo sono affatto!

            Di talché mentre una parte della Cass. N. 9479/23 è di facile condivisione, altre due parti offrono il fianco a notevoli e motivate critiche.

            Pare opportuno dividere in tre parti separate la succitata sentenza.

            A) come sostiene il citato prof. Avv. Sapelli: “Le Sezioni unite hanno detto che, nel rispetto della pronuncia della CGUE, il giudice del monitorio ha “il dovere di esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo”.

            “Il rilievo è senz’altro corretto, e certamente imporre al giudice il controllo delle clausole contrattuali non solo costituisce rispetto dell’ordinamento comune europeo, ma è anche pretesa perfettamente conforme alle nostre disposizioni interne, visto che ciò si ricava facilmente dagli artt. 633 – 644 c.p.c. che prevedono che il giudice del monitorio debba verificare i presupposti di fatto e di diritto della concessione dell’ingiunzione, e quindi anche la validità o meno delle clausole contrattuali in forza delle quali l’ingiunzione è richiesta, e poi soprattutto dall’art. 641 c.p.c., che prevede che il decreto ingiuntivo debba essere motivato”.

            Per inciso si può ricordare che la Corte Costituzionale nell’ormai lontano 2005 (Corte Cost. n. 410 del 3 novembre 2005) aveva ribadito che il Giudice del procedimento monitorio può rilevare d’ufficio sia le eccezioni in senso lato che in senso stretto. Un tanto con particolare riguardo ai diritti del consumatore giusta Direttiva UE 93/13.

            Inoltre, il legale che chiederà il rilascio di un D.I. potrà facilitare il compito del giudicante indicando nella domanda che si è alla presenza di un contratto di cui è parte un consumatore (b2c).

            B) Il secondo punto della sentenza è difficilmente condivisibile: in questa parte si dice che l’omessa motivazione circa il dovere del giudice di controllare l’(in)esistenza di clausole abusive impedisce al DI di acquisire l’autorità di cosa giudicata in caso di mancata opposizione.

            Si tratta di un’affermazione forzata che va a stravolgere i principi del diritto processuale e le stesse sentenze della Suprema Corte che ha sempre considerato “Giudicato” il Decreto Ingiuntivo non opposto nei termini.

            Una cosa è, infatti, l’obbligo di motivazione di cui all’art. 641 c.p.c., altra cosa è ritenere che l’omessa motivazione impedisca il giudicato. Se tutti i provvedimenti passati in giudicato, perché non opposti o non impugnati, non dovessero acquisire l’autorità di cosa giudicata per vizi della motivazione, ebbene, noi non avremmo probabilmente più alcun provvedimento da potersi considerare passato in giudicato (Sapelli, cit.)!

            In tal modo “la Suprema Corte ha dovuto scardinare il fondamentale assioma in ragion del quale il passaggio in giudicato del decreto monitorio dipendeva solo e soltanto dall’inerzia del consumatore, dal momento che quest’ultimo non aveva proposto opposizione (avvocati Biagio e Clara Letizia Riccio in dirittobancario.it).

            Le conseguenze, in un periodo in cui si presta molta attenzione ala “giusta durata del processo” potrebbero essere devastanti.

            C) La terza parte è quella meno condivisibile: in essa, la Suprema Corte in nome della nomifiliachia si è sostituita al legislatore creando un nuovo procedimento di opposizione. Il che è francamente inaccettabile.

            Vediamo, rifacendoci a quanto scritto dai colleghi avvocati Riccio, citati: Le Sezioni Unite non si sono limitate a stravolgere il principio delle definitività del D.I., ma sono andati oltre  “tratteggiando passo passo il procedimento in virtù del quale il consumatore, seppur scaduti i termini per presentare opposizione ex art. 645 c.p.c., possa avanzare l’eccezione in sede esecutiva. In accordo a quanto profetizzato da pregevole dottrina, essi hanno privilegiato l’istituto dell’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c.: in particolare, nelle ipotesi in cui «il debitore-consumatore dimostri che, a causa del mancato esercizio dei poteri ufficiosi del giudice del monitorio, non abbia potuto consapevolmente prendere in considerazione l’opportunità di proporre l’opposizione tempestiva», ciò «sembra possa atteggiarsi alla stregua di causa non imputabile o di causa di forza maggiore, ovvero di circostanza impediente», con un allargamento della nozione contemplata ex art. 650 c.p.c.”

            Ma un tanto non tiene conto che per opporsi ad un D. I. occorre l’ausilio di un avvocato (c. d. difesa tecnica) ed è alquanto difficile immaginare un legale che non si accorga della presenza di clausole abusive …

            Probabilmente non era necessario arrivare ad un nuovo procedimento per adeguare il nostro Ordinamento a quello comunitario. In ogni caso, ove fosse stato necessario, era compito esclusivo del legislatore.

            Riassumendo in estrema sintesi: le Sezioni unite, per adeguare l’Ordinamento italiano a quello Ue hanno sancito che: 1) il Giudice del procedimento monitorio deve esaminare e motivare se si sia alla presenza di clausole abusive; 2) ove un tanto non sia stato fatto il D.I. non diventa definitivo; 3) le Sezioni Unite “suggeriscono” il procedimento da tenere in caso di opposizione successiva al Decreto, ad esempio in sede esecutiva.

            Nelle more si sono avute le prime sentenze di merito che, come era immaginabile, sono discordanti. Un’unica tendenza sembra consolidarsi: quanto ci sia stato opposizione al Decreto Ingiuntivo, tardiva o meno, i rimedi previsti dalla Cassazione non sono più esperibili.,

Trieste, 17 novembre 2023

                                                                                  Avv. Augusto Truzzi

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