La prestazione economica in caso di riduzione del contributo per il mantenimento del figlio è irripetibile. Lo dice la Cassazione

La Corte di Cassazione Sez. I civile, con la recentissima ordinanza n. 10974 del 26 aprile 2023, rigettando il ricorso e confermando la decisione della Corte d’Appello di Venezia, ha statuito che in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita.

Il diritto di ritenere quanto è stato pagato invece non opera nell’ipotesi del figlio maggiorenne in cui sia accertata l’insussistenza ab origine dei presupposti per il versamento (la non autosufficienza economica da valutarsi in relazione all’età e al percorso formativo e/o professionale seguito) e sia disposta la revoca o la riduzione del contributo, la cui decorrenza è sempre dalla domanda di revisione o motivatamente da periodo successivo.

Nel caso di specie, in primo grado il decreto presidenziale aveva fissato l’assegno mensile dovuto dal padre alla madre (non coniugati) per il mantenimento della figlia in € 1.500, oltre ad € 500 per il canone di locazione e il 50% delle spese straordinarie (poi ridotto in via provvisoria, con ordinanza in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. nel 2014, in € 1.000 incluso il canone di locazione).

Con sentenza del settembre 2016 il Tribunale aveva fissato “a decorrere dal 5 settembre 2016” in € 1.200 mensili l’assegno a carico del padre – di professione avvocato – da versare alla madre – anch’essa avvocato – oltre al rimborso integrale delle spese universitarie ed al 50% delle spese straordinarie.

Ne era seguita nel giugno 2018 un’ulteriore decisione del Tribunale di Verona di modifica delle condizioni di mantenimento, che aveva statuito che il padre non doveva versare alcunché alla madre (a far data dal settembre 2016) per il mantenimento della figlia, essendosi la stessa trasferitasi presso il padre e che respingeva la domanda restitutoria delle somme versate in eccesso (dal luglio 2016).

Investita del gravame, la Corte d’Appello di Venezia: a) dichiarava cessata la materia del contendere “il disposto del Tribunale di Verona del 2018” essendo venuto meno il presupposto della domanda principale di revoca o riduzione dell’assegno da settembre 2016; b) valutate le più recenti dichiarazioni dei redditi prodotte dai genitori e rilevata l’esistenza di un grave squilibrio reddituale, non essendo contestato dal padre l’obbligo di mantenimento della figlia ma solo la sproporzione dell’importo a suo carico, statuiva che l’assegno a carico del padre dovesse essere confermato anziché revocato (il che giustificava la giusta quantificazione del contributo di mantenimento alla figlia di € 1.500 mensili nel periodo da settembre 2012 a marzo 2014 e successivamente dei € 1.000 da marzo 2014 sino a settembre 2016, data della revoca finale); c) riteneva inammissibile la domanda restitutoria, stante il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento in favore del figlio.

Avverso la pronuncia della Corte d’Appello proponeva ricorso il padre, a cui resisteva la madre con controricorso.

La Cassazione, respingendo il ricorso ed in linea con la giurisprudenza precedente (cfr. Cassazione n. 28987/2008; Cassazione n. 13609/2016; Cassazione n. 23569/2016; Cassazione n. 11689/2018) ha ribadito il carattere “sostanzialmente alimentare” dell’assegno di contributo al mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, il quale, al pari degli alimenti, sopperisce, in rapporto alle esigenze, anche presunte, in relazione all’età, agli studi, etc. …ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’eccezione più ampia e pur non essendo necessario uno stato di indigenza, come negli alimenti (c.d. natura para-alimentare dell’assegno di mantenimento).

Nel respingere il ricorso, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 10974 ha riaffermato il principio secondo cui “in materia di revisione dell’assegno di mantenimento per i figli, il diritto del coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo per l’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o soppressione dell’assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell’accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione” (nello stesso senso: Corte di Cassazione n. 16173/2015; Corte di Cassazione n. 8235/2000; Corte di Cassazione n. 22941/2006; Corte di Cassazione n. 19722/2008; Corte di Cassazione n. 28/2008; Corte di Cassazione n. 11913/2009; Corte di Cassazione n. 3922/2012; Corte di Cassazione n. 6975/2005).

Già in precedenza, Corte di Cassazione n. 4224 del 2021 aveva chiarito che” la decisione del giudice relativa al contributo dovuto dal genitore non affidatario o collocatario per il mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi bensì dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo “status” genitoriale e il diritto alla corresponsione del contributo sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data di modificazione della domanda di revisione”.

Sulla stessa scia in termini di irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento stante la natura sostanzialmente alimentare dell’obbligazione, anche la recentissima ordinanza della Cassazione n. 32914/2022 che affermato il principio di diritto secondo il quale “In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati e ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere:

  1. opera la “conditio indebiti” ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione del “richiedente o avente diritto”, ove si accerti l’insussistenza “ab origine” dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile”;
  2. non opera la “conditio indebiti” e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno e/ o ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, “delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)”, sia se viene effettuata  una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui, si deve desumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica;

Trieste, 1 giugno 2023

                                                                  Avv. Emanuela Sofia

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