L’esigibilità dell’obbligazione di alimenti.

In particolare: il caso delle RSA

         Come recita l’art. 433 c.c.All’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine: 1) il coniuge; 2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali con precedenza dei germani sugli unilaterali”.

         Il fondamento delle obbligazioni alimentari è individuato nei principi costituzionali di solidarietà e assistenza familiare.

         L’obbligazione di somministrare gli alimenti (art. 443 c.c.) può essere adempiuta mediante la corresponsione di un assegno a periodi anticipati o – alternativamente – accogliendo e mantenendo nella propria casa l’avente diritto (scelta che, secondo circostanze, può essere effettuata direttamente dall’autorità giudiziaria).

         Anche il donatario è obbligato, con precedenza su ogni altro obbligato a prestare gli alimenti al donante, tranne il caso in cui la donazione sia stata di tipo rimuneratorio oppure in vista di un matrimonio, ma non è obbligato in misura superiore al valore della donazione esistente al momento nel suo patrimonio (art. 437-438 c.c.).

         Gli alimenti possono essere chiesti ex art. 438 c.c. solo da chi versi in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento e sono quantitativamente stabiliti secondo due criteri: 1) in proporzione al grado di bisogno di chi li domanda e 2) alle condizioni economiche dell’obbligato. In ogni caso non devono superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua condizione sociale.

         Fondamentale in materia di alimenti è la norma dell’art. 447 c.c. che sancisce che il credito alimentare, oltre a non essere compensabile (neanche per prestazioni arretrate), non può essere ceduto.

         Il divieto di cessione del credito alimentare trova la sua ratio nel carattere strettamente personale della relativa obbligazione, coerentemente alla disciplina generale dettata dall’ art. 1260 c.c. sulla cedibilità dei crediti. Dal divieto di cessione deriva, altresì, la nullità di eventuali atti di disposizione del credito alimentare (ad es. rinunce o transazioni).

         Si è altresì escluso che il credito alimentare possa essere oggetto di azione surrogatoria da parte dei creditori dell’avente diritto, proprio in ragione della sua indisponibilità da parte del titolare (ex multis TAR Milano n. 2121/2013).

         In tema di esigibilità dell’obbligazione alimentare ed in relazione alla sua incedibilità visto il suo carattere strettamente personale, è stato statuito ad esempio che una RSA non possa chiedere un contributo al pagamento delle rette ai parenti dei degenti in forza del loro “obbligo agli alimenti” poiché la norma ex art. 2, co. 6, D. Lgs. n. 109/1998 lo esclude espressamente, riservando tale istituto al solo soggetto privo di mezzi o al suo legale rappresentante “non certamente ad un terzo, specie se ente pubblico”.

         Su questa linea sono ritenuti nulli gli impegni di pagamento delle rette RSA firmati dai parenti dei degenti che nella prassi le stesse strutture fanno sottoscrivere come condizione necessaria all’ingresso nella RSA del degente.

         Così la sentenza del Tribunale di Verona n. 2384 del 19.06.2013 ha dichiarato la nullità dei contratti di ricovero con cui i parenti delle persone degenti in RSA si impegnano come garanti o come fideiussori al pagamento della quota sociale, rinforzando così un orientamento già manifestato in modo chiaro dal Tribunale di Firenze nel 2012 (sent. n. 2866/2012 dep. 13.08.2012 e sent. n. 3039/2012 del 18.09.2012).

         Nel caso sottoposto al Tribunale di Verona una RSA aveva ottenuto dal giudice un decreto ingiuntivo per il pagamento della quota sociale sulla base di un contratto di impegno che i parenti della persona degente (soggetto ultrasessantacinquenne e con invalidità al 100%) avevano sottoscritto.

         Quest’ultimi si opponevano al decreto ingiuntivo, ottenendone la revoca da parte del Tribunale di Verona che dichiarava nullo il “contratto ricovero” ex art. 1428 c.c. per contrarietà a norme imperative, affermando che la firma imposta ai parenti a garanzia del pagamento delle rette RSA rappresenta un ostacolo alla fruizione dell’assistenza sanitaria poiché “In base alla normativa vigente, in un caso di assistenza sanitaria quale quello di specie, le spese per ricovero vanno suddivise al 50% tra Azienda Sanitaria e Comune competente. Non c’è dubbio che una siffatta normativa rientra nell’ambito della normativa d’interesse pubblico che assicura ai cittadini le prestazioni socio-sanitarie necessarie, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, in applicazione concreta dell’art. 32 Cost. Se così è, il diritto al ricovero e all’assistenza di un soggetto ultrasessantacinquenne e invalido al 100% non può esser regolamentato da convezioni private che, in qualche modo e secondo vari mezzi giuridici (espromissione, fideiussione ecc.), ostacolino di fatto il ricorso del cittadino alla fruizione dell’assistenza sanitaria, quale mezzo concreto di garanzia e attuazione del diritto costituzionalmente riconosciuto alla salute. E ciò specie se il cittadino abbia una minore capacità reddituale, com’è pacifico nel caso di specie. Il contratto di ricovero deve perciò ritenersi nullo ex art 1428 CC per contrarietà a norme imperative”.

         Il diritto al ricovero e all’assistenza non può essere dunque regolamentato da convenzioni private che in qualche modo ostacolino di fatto il ricorso del cittadino alla fruizione dell’assistenza sanitaria, quale mezzo concreto di garanzia e attuazione del diritto costituzionalmente riconosciuto alla salute.

          Nell’ambito del rapporto pubblicistico di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie non c’è dunque spazio per la contrattazione privata.

         Le Strutture che erogano il servizio in convenzione con le ASL o con i Comuni non possono dunque sottoporre ai parenti dei degenti impegni al pagamento delle rette RSA poiché in tal modo aggirano le norme pubblicistiche che stabiliscono invece chiari modi e criteri di ripartizione dei costi di degenza fra enti pubblici e cittadini a scapito della libera fruizione dell’assistenza sanitaria.

         Anche la Cassazione con sentenza n. 4558 del 22.03.2012, ha definitivamente fugato ogni dubbio in proposito stabilendo che le rette per pazienti ricoverati in RSA, seppur limitatamente ai soggetti con handicap gravi o ultrasessantacinquenni non autosufficienti, devono rimanere a carico del Servizio Sanitario Nazionale e non possono essere addossate sui parenti.

         In conclusione spetta solo all’assistito, se è in grado di farlo, pagare la retta, che invece è a carico del Comune di appartenenza nei casi in cui l’anziano o disabile grave non abbia mezzi ed i Comuni non possono rivalersi sui cosiddetti “obbligati per legge”, ovvero i parenti fino al quarto grado tenuti a provvedere agli alimenti per il congiunto indigente.

         Trieste, 10 novembre 2023.

         Avv. Emanuela Sofia

Collaboriamo con

Avv. Giovanni Franchi
www.avvocato-franchi.it
Avv. Francesco Trebeschi
www.studiotrebeschi.it